Ultimo aggiornamento Domenica 13 Novembre 2011 08:16 Scritto da ACHILLE BONITO OLIVA – la Repubblica

Da Dalí a Miró, da Magritte fino a Picasso ed Ernst. Alla Fondazione Beyeler i capolavori del movimento

Basilea. Tanto credito prestiamo alla vita, a ciò che essa ha di più precario – la vita “reale” naturalmente – che quel credito finisce per perdersi». Così nel 1924 André Breton apriva il Primo manifesto del Surrealismo, nel quale l´arte teorizzava una strategia di avvicinamento alla vita proprio per risolverne la realtà “mancata”. Vivo e perenne rimane questo tentativo, come si desume dalla straordinaria mostra Surrealismus in Paris a cura di Philippe Büttner alla Fondazione Beyeler di Basilea fino al 29 gennaio 2012.

Breton assume e teorizza il verbo di Freud, la lezione di una letteratura risalente a Sade, di una filosofia negativa che recupera Schopenhauer e Nietzsche, di una pittura metafisica che ha in De Chirico il suo più splendente esecutore, per dare la scalata alle profondità della psiche. La mano di alcuni pittori, come Max Ernst, Salvador Dalí, Joan Miró, Magritte, Masson, Tanguy, Brauner, Matta, Bellmer, Delvaux, Oppenheim e (per un periodo) anche Picasso e si mette all´opera per fondare l´immagine di una discesa agli inferi.
La materia dell´arte surrealista è l´inconscio con la sua energia, l´immaginario che vola in tutte le direzioni, disseminato a tutte le altezze e le bassezze. L´automatismo del gesto è direttamente proporzionale all´automatismo della psiche, al moto inconsulto e involontario del profondo.
L´immaginario dunque sprigiona energia, che poi l´arte si incarica di condensare diversamente secondo le differenze che separano la diversa creatività degli artisti. Come dice Breton, il Surrealismo apre una doppia strada, al simbolico e al materico. Dispiega procedimenti e strategie dell´immagine che approdano a risultati complementari, tutti dettati dall´impulso a prendere forma della disarticolata surrealtà: esemplare il Paysage au coq (1927) di Joan Miró.
Per fare affiorare il rimosso è necessario grattarsi sotto la pelle. E grattare è letteralmente ciò che fa Ernst, scoprendo per l´arte ciò che il gioco infantile pratica mediante il frottage, una maniera di strofinare l´anima dell´oggetto per farla affiorare come ombra e immagine sublimale, come nella sua La grande forêt (1927). Ma le vie dei surrealisti sono infinite, e ogni artista del gruppo adotta una sua personale strategia figurativa.
In Dalí e Miró l´immagine esprime la doppia valenza di portatrice di simbolo e di deterrente materico. L´automatismo funziona sia come associazione libera e aperta di dati che si potenziano reciprocamente, sia come prodotto della casualità e della crescita spontanea. Vedi in Dalí Rêve causé par le vol d´une abeille autour d´une pomme-grenade, une seconde avant l´evil (1944). Più mentale è l´opera di Magritte (L´empire des lumieres, 1962) nel quale l´automatismo psichico fonda un tipo di immagine raffreddata sulla soglia di una rivelazione che mette a nudo i paradossi del linguaggio. Lo conferma anche Delvaux con la sua Aurore (1937).
In Tanguy (Les jeux nouveaux, 1940) e Masson (Métamorphose des amants, 1938) la materia si organizza al livello più basso, l´immaginario vola radente alla sostanza organica assumendo i travestimenti della stessa materia pittorica fino a identificarsi con essa. Con il Picasso di Le sauvetage (1932) il quadro diventa invece il campo d´azione di una continua metamorfosi, di una proliferazione che non significa soltanto crescita ma anche disseminazione mobile e dislocazione aperta di segni.
Victor Brauner organizza il simbolico intorno ad archetipi visivi che non tendono alla stasi ma rimandano alla ciclicità e alla ambigua consistenza e coesistenza di immagini che si raddoppiano oppure si danno l´una dentro l´atra: Les siecles reculon comme des ouragans (1932). Sebastian e Matta e Wilfredo Lam riescono a spostare la geometria dal suo “luogo comune” per spogliarla e consegnarla alla prorompenza di forze naturali e cosmiche che ne fanno esplodere la capacità di misura.
I surrealisti hanno con l´inconscio un rapporto quasi colloquiale, per il tramite di tecniche elementari che riducono la puntigliosa complessità del procedimento tradizionale: essi vogliono dare spazio direttamente all´incedere del caso e della disinvolta eccedenza delle pulsioni interne.
Per definizione il Surrealismo è esuberante, è un gesto affermativo che ristabilisce il primato del fantasma contro l´evidenza statica delle cose: un fantasma che si insinua nei mille modi del linguaggio, in forma germinale, larvale oppure sotto le spoglie di un´immagine perturbante.
Le tecniche automatiche sono gli irriducibili tramiti, gli scandagli che vanno a pescare proprio nel torbido nell´opera di Max Ernst: Fleurs de neige (1929). Il frottage e il dripping, grattare e sgocciolare, costituiscono la materializzazione di tale necessità tecnica, l´azzeramento di ogni complessità a favore di movimenti elementari che privilegiano l´autonomia della mano rispetto all´occhio, l´indipendenza dell´opera rispetto alla vigile accortezza dell´artista.