Scritto da Laura Putti – la Repubblica

Una mostra a Parigi sulle arti da Lenin a Stalin. Gli artisti si sentivano parte di un sistema di cui intuivano la pericolosità
PARIGI. Quattro anni dopo la bella esposizione sulla Musica del III Reich, la Cité de la Musique offre un seguito ideale. Da oggi (al 16 gennaio) è la Russia di Lenin e Stalin a riempire le sale espositive della Villette. Ma il titolo, Lénine, Staline et la musique, non rende giustizia a una mostra che per forza di cose non avrebbe potuto restare ancorata alla musica. Molto più ampia della precedente, offre al visitatore le consuete cuffie sulle quali cambiare musica davanti a ogni teca. Ma questa volta non è l´udito il senso più sollecitato: è la vista che si riempie di colori, di emozioni, di quadri bellissimi di autori spesso a noi sconosciuti, dall´avanguardia a un mirabile modernissimo realismo. Opere di pittori, i quali, proprio come i musicisti, i poeti, gli scenografi, i costumisti, gli attori, i danzatori, i fotografi, dopo la Rivoluzione di Ottobre si trovarono a fare parte di un sistema del quale, spesso fin dal principio, intuirono la pericolosità. «Alcuni, come Stravinskij, se ne andarono addirittura prima dell´ottobre 1917» dice Pascal Huynh, giovanissimo commissario della mostra, alla seconda esperienza dopo il “III Reich”. «Ma altri come Shostakovich, Prokofiev, Kachaturian, rimasero. Non sempre vivendo bene, soprattutto dopo l´arrivo di Stalin». I destini dei musicisti si unirono spesso a quelli di altri artisti. Eisenstein usò le musiche di Prokofiev (su piccoli schermi brani da Alexander Nevski e Ivan il terribile, figure amate dal regime staliniano), Malevic disegnò scene e costumi per Vittoria sul sole, opera cubofuturista di Kruchenyk e Matiuschin (del 1913, ma già di argomento rivoluzionario), nel 1929 La cimice di Majakovskij riunì la messa in scena di Meyerhold, le musiche di Shostakovich e le scene e i costumi di Rodtchenko, massimo fotografo dell´Unione Sovietica di quegli anni. «La rivoluzione politica del ´17 liberò straordinarie pulsioni creative», dice Pascal Huynh, «ma a un certo punto, specie dopo la morte di Lenin, la differenza tra arte popolare e arte colta divenne enorme. Per esempio, “colti” come Shostakovitch ebbero vita dura». Tanto che una piccola sezione è dedicata allo scandalo sollevato dalla Lady Macbeth nel distretto di Mzensk del ´34, opera ritenuta immorale e antirivoluzionaria in seguito alla quale Shostakovitch fu costretto a comporre melodie più adatte al popolo.
La mostra è divisa in due parti. La prima “Utopies” (tre sezioni: “Verso la Rivoluzione di Ottobre” con due quadri che valgono la mostra: un bellissimo ritratto di Lenin dipinto da Brodskij nel ´19 e la Festa in onore dell´apertura del secondo Comintern, 19 luglio 1920 di Kustodiev; “L´arte e la rivoluzione” con l´agghiacciante dipinto di Redko, Insurrezione, nel quale l´avvenire è già ben illustrato; e “Rivoluzioni sceniche” con le prime commemorazioni del Primo Maggio e gli spettacoli musicali di masse animate da esaltazioni rivoluzionarie che annunciano il realismo socialista ben prima dell´arrivo di Stalin) va dal ´17 al ´29. La seconda, “Realisme socialiste”, parte dalla “grande svolta” di Stalin nel ´29 e termina con la sua morte nel ´53.
«La cultura diventa soprattutto propaganda e fa parte del Comitato Centrale», dice Pascal Huynh. E se Lenin aveva avuto accanto, come responsabile della cultura, l´”illuminato” Lunatcharski, Stalin sceglie il terribile Zdanov. Accanto a bellissimi quadri (per quattro anni Huynh ha fatto avanti e indietro con la Russia e i suoi musei, e la mostra fa parte dell´Année France-Russie 2010) di Pimenov, Plastov o Chagall (Il violinista sul tetto, ma anche un raro autoritratto giovanile), alle fotografie dell´assedio di Leningrado, arrivano i gulag con la loro arte disperata, il teatro statale Goset della comunità ebraica e le danze e le musiche del ghetto.