11 Ott

Russi a palazzo

Ultimo aggiornamento Mercoledì 12 Ottobre 2011 07:48 Scritto da FRANCESCA GIULIANI – la Repubblica, pagine Roma
Due esposizioni da oggi all’8 gennaio Pittura e fotografia dagli anni Venti ai Settanta

Monumentali, esagerati, retorici, schematici, sempre drammatici: con le adunate dell’Internazionale socialista, le donne felici di lavorare in mezzo ai campi di grano, gli atleti schierati, gli operai che escono dalla fabbricaa grandi passi, le bandiere rosse, i soldati in fila. Comunque li si voglia vedere o giudicare, i dipinti in mostra al Palazzo delle Esposizioni costituiscono la ripresa di qualcosa di lungamente escluso dai manuali di storia dell’arte, dal circuito delle mostre anche internazionali, dalla critica. “Realismi sovietici 19201970”, a cura di Matthew Bown e Zelfira Tegulova, attraversa mezzo secolo cruciale di pittura in una mostra, la più completa mai presentata fuori dalla Russia, che naturalmente si inquadra nell’anno di scambi fra i due paesi, concludendolo. Lo svolgimento è cronologico e si estende dal realismo più “puro” fino agli anni della stagione brezneviana.

L’assunto critico, spiega il coordinatore scientifico per il Palaexpò Matteo Lafranconi, è di andare oltre la censura che venne a causa del dramma del totalitarismo, avallata dai risentimenti di molti transfughi russi nelle università o nei cenacoli europei, e dunque rivalutare dal punto di vista estetico-critico una produzione sterminata, in cui riconoscere anche dei talenti individuali oltreché un’adesione ideologica, una modalità propagandistica in un momento storico drammatico in cui l’arte conquistava l’adesione di migliaia di persone. Dalla “Formula del proletariato di Pietrogrado” di Pavel Filonov fino ai grandi primi piani della serie degli operai “Bruciati dal fuoco” di Korzhev trascorrono anni in cui tutto accade, la guerra, Stalin un mondo che cambia e così la pittura che lo decanta, inizialmente e lo denuncia, infine. I protagonisti ci sono tutti: Brodskij, Rublev, Efanov, Deineka, Popkov…

È solo in parte la stessa storia quella delle immagini di Aleksander Rodcenko (1891-1956), uno dei principali generatori delle avanguardie russea cuiè dedicata, sempre al Palazzo delle Esposizioni, «la prima mostra completa in Italia», come chiarisce Emmanuele Emanuele, presidente dell’Azienda speciale Palaexpò. Bellissime, moderne, seducenti come sono presentate nell’allestimento su pareti bianche, nere, rosse, queste foto introducono in fotografia i principi del costruttivismo: «La sua arte era visionaria – spiega la curatrice Olga Sviblova – Seppe introdurre nella fotografia un’ottica diversa, una nuova estetica visiva.

Mettendo via il punto di vista comune, sapeva guardare il mondo con gli occhi spalancati». Tante le testimonianze della sua ricerca sul colore e sulla prospettiva, le famose immagini tagliate in diagonale di «una Mosca dinamica come fosse New York», i famosi ritratti di Majakovskij, un’arte a cui non seppe mai rinunciare, anche a costo di cadere in disgrazia e morire solo, abbandonato da tutti.

06 Ott

Simbolismo a Padova e i capolavori di una stagione italiana

Scritto da LEA MATTARELLA – la Repubblica

Mistero, eros e spiritualità.    A Palazzo Zabarella oltre 100 opere di fine ´800 e inizio ´900 dimostrano il respiro europeo dell´arte del nostro Paese

Si potrebbe quasi stilare un catalogo dell´immaginario collegato alla femminilità tra Otto e Novecento visitando la mostra Il simbolismo in Italia a Palazzo Zabarella a Padova (fino al 12 gennaio). L´uscita dal “verismo” per una pittura che scopra le zone inesplorate, segrete, misteriose, spirituali della realtà, avviene anche rappresentando diverse tipologie di donne. Insomma simbolismo sembra una parola da declinare al femminile. E al plurale. C´è la maternità, certamente: un bambino sbaciucchiato per Giovanni Sottocornola, una mamma che legge ambientata da Giacomo Balla in una specie di sinfonia in nero. Ma anche le pennellate filamentose e dense che raccontano il rapporto armonico tra la nascita dell´uomo e quella della natura nei due capolavori di Segantini e Previati dal medesimo soggetto. Ci sono donne-ninfe che quasi fioriscono, confondendosi, nel paesaggio che le circonda come accade nel Notturno di Plinio Nomellini, nel Chiaro di luna di Previati. Sono figure del buio, capaci di sorprendere con la loro sensualità inconsapevole. Ma il Simbolismo è soprattutto pieno di eros. È il trionfo della femme fatale. Diavolessa chiama Arturo Martini la sua fanciulla nuda che emerge dalla sera. La visionarietà di questo artista singolare, che anticipa il Surrealismo, lo porta a immaginare fantasie macabre come la Parabola dei celibi in cui uomini dall´aspetto lubrico arrivano addirittura a disseppellire il cadavere di una Venere. L´eros, come la forza di Sansone, è anche nei capelli. “Più lunghi dei nostri mantelli” come in una canzone di De Andrè, sono quelli della Pavonessa disegnata da Domenico Baccarini. E poi c´è l´attrazione “galeotta” tra Paolo e Francesca, destinati, sulle tele di Boccioni e di Previati, a navigare in un eterno abbraccio. Sartorio ci mostra Le Vergini savie e le Vergini stolte, ma anche una Sirena irresistibile per il giovane pescatore. C´è Cleopatra, naturalmente, ed è ancora Previati a costruirne il suicidio nell´oscurità. E poi ecco giovani corpi che sfioriranno e un Eros continuamente messo in pericolo da Thanatos (Segantini, Kienerk, De Carolis). Fuori dall´Italia la musica non cambia: Giuditta di Klimt ha artigli che tengono salda la testa di Oloferne. E la donna per Franz von Stuck, avvolta da un serpente, altro non fa che rappresentare Il Peccato.

02 Ott

Chagall. Le mille e una notte di un sonnambulo

Ultimo aggiornamento Mercoledì 12 Ottobre 2011 10:59 Scritto da GIUSEPPE MONTESANO – la Repubblica

 Da dove vengono i sogni? Per Freud arrivano dal deposito di detriti dell´Inconscio, per la scienza gli stati onirici sono generati dalla chimica del cervello, per gli uomini comuni i sogni sono i messaggeri dell´aldilà: e tutti hanno ragione, perché di fronte alle apparizioni che ci vivono nella notte nessuno può essere sicuro di niente. Ma chi qualche volta ha visto, o solo intravisto, i quadri di Marc Chagall, è stato sopraffatto da un´altra verità, insieme oscura e luminosa, una verità che lo ha sfiorato come la carezza misteriosa che fa rabbrividire e risveglia alla vita: i sogni vengono dalle profondità mute del colore. E adesso eccolo di nuovo, l´ebreo-russo Chagall che attinge la sua musica al pozzo senza fondo di pigmenti fantastici, in un libro commovente pubblicato da Donzelli, Le mille e una notte a colori: quattro racconti tradotti dall´inglese delle Arabian Nights di Richard Burton da Fulvia De Luca, pubblicati nel 1948 negli Stati Uniti e illustrati da con tredici litografie e vari disegni preparatori.
Chagall aveva già illustrato le favole morali di La Fontaine e la Bibbia, ma con Le mille e una notte si trovava immerso direttamente in un mondo fiabesco, un mondo dove chi racconta lo fa per salvarsi la vita, un mondo dove crescono campi di grano nelle stanze da letto e gli innamorati si trasformano in uccelli dal piumaggio splendente, un mondo retto dall´onnipotente Allah e dall´ancor più onnipotente forza di Amore, un mondo dove si viaggia attraverso la magia che disarma la volontà e dove la bellezza che i censori della veglia ci negano severi ci viene donata in abbondanza dalle morbide e sinuose divinità della notte e del sogno. In quel regno in cui i confini tra la realtà e l´immaginazione sono labili come la spuma dell´onda, Chagall si muove in uno stato di sonnambulismo pittorico, lasciando che i colori e le forme fioriscano trasognati in margine ai racconti di Sherazade come acque affiorate nel dormiveglia, in un fluire che parla la lingua a gesti del colore.
Chagall completò le litografie per Le mille e una notte dopo la Seconda guerra mondiale, ancora nell´atmosfera di lutto per la Shoà e per la morte della moglie Bella, eppure non è il dolore a cantare nei rossi divampanti e negli azzurri smaltati delle sue principesse ingioiellate e nude e dei suoi animali fatati, ma il richiamo intrattenibile della felicità. Le forme sinuose, sghembe e infantili di Chagall sono incomprensibili a chi le guarda con l´occhio dell´arte esatta, e vivono solo se si entra nelle armonie musicali della sua scala cromatica, nella sua idea del colore che è espressione pura. E la realtà, allora? Il rispetto del nervo ottico? L´ossequio all´illusione tridimensionale? Tutto ciò è alle spalle di chi ha illustrato queste Mille e una notte, dove la ragione si è disciolta nelle metamorfosi dell´emozione. Chagall sa allontanarsi senza paura dalla realtà apparente per tuffarsi nella realtà segreta dei sensi e dei sentimenti, e attraverso il clavicembalo ben temperato del colore lascia che parlino il corpo e il suo desiderio. Il cavallo non nero ma impassibilmente azzurro sull´azzurro che appare nel Cavallo d´ebano, i gialli auriferi che illuminano i corpi in Julnar del mare o i celesti amniotici degli amanti in Kamar Al-Zaman non corrispondono alle descrizioni di superficie dei racconti arabi, ma solo al sismografo del mondo dei sogni.
E in filigrana a queste illustrazioni, a sorpresa ma non tanto, appaiono i colori e le ornamentazioni delle scenografie dei Balletti Russi di Diaghilev, la favola primitiva e raffinata dell´Uccello di fuoco di Stravinskij con i suoi guizzi festosi e gli ambigui accordi incerti tra lusso wagneriano e nudo folklore, e soprattutto la Shéhérazade di Rimskij-Korsakov: una musica di ori e azzurri scintillanti, sensuale e spirituale fino allo sfinimento, intrisa di passione e di caducità, una musica che era la traduzione in note dei mosaici bizantini dell´Impero d´Oriente sposati alla vegetazione sessuale dell´Art Nouveau, una musica che si affacciava sull´orlo dell´abisso incantata dal richiamo del piacere anche in mezzo al dolore. È questo lo Chagall di sempre e di queste Mille e una notte: il blu qui è davvero oltremare, un mare della mente stupefatta; il rosso è letteralmente l´incendio del cuore, del sangue e del sesso fusi insieme; il verde è l´eden ritrovato nel gioco, spalmato a bocca aperta dai pastelli di un bambino; l´arancio smette di essere chimico e si fa erotico, sembra colare acre e dolce come il succo del frutto che gli dà il nome; e il pallido paglierino della falce di luna è più vero, nel cuore degli amanti, di ogni luna vista al telescopio. E quando i colori sognano, come nel teatro dei giochi di Chagall, alla fine le parole non possono che tacere.