Scritto da Lauretta Colonnelli – Corriere della Sera

DUE MOSTRE A ROMA A PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI

Non solo «kitsch di regime» ma molte ispirazioni e arte di qualità: 66 opere per superare un pregiudizio storico

 

Per meglio comprendere la mostra «Realismi socialisti», aperta da oggi nelle gallerie del Palaexpo, conviene cominciare da un’altra rassegna, quella su Aleksandr Rodcenko, allestita nelle sale adiacenti: trecentoquaranta opere tra fotografie originali, fotomontaggi e stampe vintage ripercorrono la parabola del grande fotografo che fu anche pittore, designer, grafico, esponente del Costruttivismo, la corrente artistica che prendeva spunto dalle nuove forme dell’industria e dell’architettura.

Qui, accanto a scatti ormai entrati nell’immaginario collettivo, come quelli che ritraggono il volto inquieto del poeta Majakovskij o della sua amante Lili Brik con la mano vicina alla bocca come se stesse urlando in un microfono, si dipana l’intero universo dell’Urss dal 1924 al 1954. Ogni particolare è ripreso da Rodcenko da angolazioni e prospettive vertiginose: le nuove costruzioni con le loro scale antincendio e le facciate irte di balconi, le imponenti manifestazioni nelle piazze e le ruote dentate nelle officine, le parate militari e le gare sportive, gli spettacoli al Bolscioi e le acrobazie del circo. Perfino i volti di familiari e conoscenti sembrano forme di architettura modernista, ripresi dal basso in alto o viceversa.

Nelle immagini di Rodcenko è documentata la sorgente della straordinaria stagione creativa e intellettuale nota come «avanguardia russa». Esplosa insieme con la Rivoluzione d’Ottobre e alimentata negli anni Venti dalla visione di un «radioso avvenire», questa sorgente sarebbe stata poi rigidamente incanalata, verso la metà dei Trenta, nelle regole dettate dai bolscevichi.

Rimaneggiando lo slogan della pasionaria tedesca Rosa Luxemburg «l’arte deve essere compresa dal popolo» in «l’arte deve essere comprensibile al popolo», le autorità sovietiche guidate da Stalin definirono con esattezza il compito che spettava agli artisti. Il nuovo stile, a cui tutti si dovevano attenere, era quello del cosiddetto Realismo socialista. L’unico committente era lo Stato e le infinite commissioni giudicatrici correggevano addirittura le tele in corso d’opera. Con un risultato estetico devastante: il fenomeno non è stato neppure preso in considerazione dai libri occidentali di Storia dell’arte.

Storici come Ekaterina Degot (autrice anche di un saggio nel catalogo della mostra al Palaexpo e curatrice, dieci anni fa a San Pietroburgo, di una rassegna sulla biancheria intima ai tempi dei Soviet) paragona a quella biancheria, «misera e artigianale», qualunque quadro dell’epoca sovietica: «pittura figurativa a olio troppo sciatta per essere detta accademica e troppo brutta – per il gusto moderno – per essere ammirata».

Ancora più fulminante la definizione di Milan Kundera nel suo celeberrimo «L’insostenibile leggerezza dell’essere»: kitsch totalitario.

La mostra romana, che raccoglie sessantasei tele di grande formato realizzate tra il 1920 e il 1970 da artisti sconosciuti in occidente, ma anche da maestri già protagonisti dell’avanguardia come Kazimir Malevic, Aleksandr Deineka e Pavel Filonov, si propone di ribaltare per la prima volta queste posizioni.

Voluta da Emmanuele Emanuele, con un formidabile catalogo curato dai maggiori specialisti internazionali e destinato a restare un punto di riferimento per gli studiosi, la rassegna sul Realismo socialista è la più completa di questo movimento mai presentata fuori dalla Russia.

«Quella che viene proposta qui – dice Emanuele – è una visione senza pregiudizi su mezzo secolo di storia artistica di una superpotenza planetaria, con l’idea di sottrarla alle interpretazioni svolte in chiave propagandistico-politica, di confutare una volta per tutte l’opinione di un Realismo socialista stilisticamente monolitico e riconsiderarne la questione della qualità».

«L’eroe dell’Unione Sovietica visita le truppe del KomSoMol» (1938) di Vasilij LaktionovTanto per cominciare non esisterebbe un solo Realismoma tanti, come suggerisce il titolo della mostra. Il fenomeno, avendo coinvolto per decenni migliaia di artisti impegnati capillarmente sul territorio di un impero immenso e molto variegato dal punto di vista etnico, sarebbe infatti troppo esteso per essere ricondotto a una corrente isolata.

Come si può vedere nel percorso al Palaexpo, si va dalle tele celebrative dei vari congressi del partito ai ritratti apologetici di Stalin «guida, maestro e amico», dalle composizioni futuriste di Filonov alle figure frontali di Malevic che rendono omaggio alla tradizione dei pittori di icone, dal realismo provocatorio e angoscioso dei dipinti di guerra alla rappresentazione della vita quotidiana, dove perfino una piantina di ficus inserita da Laktionov nell’«Appartamento nuovo» venne censurata in quanto «ideologicamente scorretta».