Scritto da CRISTIANA CAMPANINI – la Repubblica, pagine Milano

Palazzo Reale dedica una mostra al maestro concettuale, celebrato anche a Kassel

IL DOLORE, la storia, l’ideologia, il percorso di Fabio Mauri (Roma, 1926-2009) è rigoroso attraverso un’opera politica che non fa concessioni allo spettacolo, all’ironia, al gioco o al paradosso a cui l’arte contemporanea ci ha spesso abituati. Pittore, regista, scrittore, drammaturgo, la vita d’artista s’intreccia fitta a quella di editore (prima direttore di Messaggerie e Garzanti, dal 2005 presidente del terzo gruppo italiano, Gems – Gruppo editoriale Mauri Spagnol).
«Un turista di tutte le arti possibili », lo definisce Lea Vergine, curatrice della sua prima grande retrospettiva prodotta dal Comune di Milano che sarà inaugurata lunedì a Palazzo Reale alle 19 (in uscita anche due libri, Ideologia e memoria, Bollati Boringhieri con prefazione di Umberto Eco, e il catalogo Skira The end,
che accompagna la mostra). Mauri è considerato uno dei maestri dell’arte concettuale italiana e anche Documenta 13, la rassegna quinquennale inaugurata da pochi giorni a Kassel, punta i riflettori sul suo lavoro dedicandogli un’intera sala, oltre a riallestire una sua performance del 1989, Che cos’è la filosofia,
un’azione collettiva, quanto mai attuale, che solleva interrogativi come «Cos’è la Germania? E l’Europa? Che significa essere Europa?».
Figlio di Umberto, direttore commerciale della Mondadori e agente di Pirandello, e di Maria Luisa Bompiani, sorella di Valentino, a 16 anni fondava con Pasolini la rivista d’arte e letteratura “Il Setaccio”. Ma sono gli orrori della guerra a condurlo appena diciottenne alla follia, da cui uscirà solo dopo 33 elettroshock. L’adolescenza drammatica lo porta a interrogarsi per tutta la vita sull’origine del male, toccando temi come il fascismo, il nazismo, la shoah, nel tentativo di decifrare la realtà e soprattutto scovare i luoghi in cui il male risiede e si ripete. Dagli anni Cinquanta con Umberto Eco ed Edoardo Sanguineti fonda il Gruppo 63 e la rivista d’avanguardia “Quindici” (1967). E nell’arte dall’espressionismo passa al collage e ai fumetti. Seguono monocromi, installazioni e performance.
Palazzo Reale riunisce oltre cento opere in 12 sale. Ci sono installazioni- capolavoro come Ebrea (1971), un’antologia di design dell’orrore, un ambiente domestico punteggiato di oggetti che dichiarano di essere fabbricati con i materiali organici degli ebrei morti nei campi di sterminio nazisti. Oppure Il muro Occidentale o del pianto
(1993), valige impilate in un muro squadrato per raccontare d’identità in fuga unite da un destino comune. Si aggiungono disegni inediti e dipinti monocromi della serie
Schermi, sculture, installazioni e una forma pionieristica di cinema live. Nel 1975 Fabio Mauri proiettava, ad esempio, un film di Eisenstein in un secchio colmo di latte. Da quell’opera-performance, dal titolo Senza ideologia, i visitatori potevano attingere con un mestolo per bere la materia stessa del film. Lo stesso anno, con
Intellettuale alla Galleria comunale di Bologna, la camicia indossata da Pasolini diventava schermo del suo film Il Vangelo secondo Matteo.
«Una radiografia dello spirito», come la definiva Mauri.