Scritto da Giuseppe Dierna – la Repubblica

Da Kandinskij a Malevic, da Chagall alla Goncarova: a Roma una mostra racconta una grande stagione che finì sotto Stalin
Dopo l´ondata realsocialista che ha invaso Roma l´anno scorso, la mostra sulle Avanguardie russe, nel Museo dell´Ara Pacis fino al 2 settembre, riporta nella capitale la pittura che aveva anticipato e accompagnato in Russia la rivoluzione, per raggiungere culmine e declino negli anni Venti con l´arrivo di Stalin. In pochi anni quegli artisti avevano sostituito il dominante realismo con un catalogo di variegati sperimentalismi, dalle più radicali scomposizioni cubofuturistiche fino allo spiritualismo suprematista e alle ordinate disposizioni geometriche del costruttivismo.
Con loro non mutava solo la storia della pittura ma il volto stesso della Russia, perché – come aveva intimato il poeta Majakovskij nel «Decreto n. 1 sulla democratizzazione delle arti» – loro avevano dipinto «la fronte e il petto delle città, delle stazioni e delle mandrie di vagoni ferroviari eternamente in fuga», riempiendo nel 1920 le vie principali di Vitebsk di quadrati arancioni e rettangoli azzurri.
Erano avanguardie, giustamente al plurale. Perché se il rifiuto del realismo li univa, ben maggiori erano le diversità, e le mostre in comune si trasformavano spesso in litigi o scissioni irreparabili, coi raggruppamenti antagonisti che impiantavano improvvisati cartelli all´ingresso della loro sala, come condòmini irascibili.
Molto bello, in apertura, il quadro di Kazimir Malevic ancora d´impianto cubista, Vita in un grande albergo (1913), dipinto nello stesso anno in cui il pittore progettava le scenografie della Vittoria sul sole del futurista Chlebnikov, dove per la prima volta compare il quadrato nero che rivoluzionerà la pittura, dando vita a quella fase “suprematista” di cui vediamo qui due belle composizioni, agglomerati multicolori di quadrilateri e frammenti di cerchi e linee. Qualche sala più avanti si può invece osservare Nero su nero (1918) di Aleksandr Rodcenko, dove un nero segmento circolare si adagia su uno sfondo a dominanza grigia, opera già nel titolo polemica nei confronti di Malevic e che infatti segnò la rottura tra i due e la nascita di lì a poco del costruttivismo.
Tra le altre tele rimane nella mente un delicato interno di Chagall, Bagno di bimbo (1916), e Aereo su un treno (1913) di Natalja Goncarova, simultaneità futuristica dai tratti infantili, o la Venere (1912) di Michail Larionov, variante primitivista e contadina, testimonianza della persistenza della tradizione nell´avanguardia russa, come gli elementi fiabeschi in Kandinskij (Mosca. Piazza Rossa, 1916) o in un cézanniano come Aristarch Lentulov. E poi i tersi assemblaggi geometrici di Ol´ga Rozanova e Ljubov´ Popova, o l´astrattismo più volumetrico di Aleksandra Ekster, che in seguito prediligerà la scenografia teatrale, e nel ´24 firmerà costumi e scenografie futuristiche per il film fantascientifico Aelita di Protazanov.
La sala dedicata al cubofuturismo è aperta da una foto della tournée di Marinetti in Russia nel 1914, foto che certo non sarebbe piaciuta agli artisti russi (o almeno all´élite raccolta nel gruppo Gileja, da Vladimir Majakovskij ai fratelli Burljuk), che avevano sempre rigettato ogni vicinanza genealogica, come risulta dalla dettagliata ricostruzione di quei difficili rapporti nel bel saggio di Claudia Salaris che arricchisce il catalogo, risollevando l´antica questione delle precedenze e delle influenze, anche se il piccolo olio ancora cubofuturista di Rodcenko, Figura femminile (1915), sembrerebbe tradire influssi proprio di Boccioni, mescolato a elementi primitivisti.
E alla fine del percorso espositivo il visitatore curioso può ancora godersi un breve filmato che riassume la vivacità culturale di quegli anni rivoluzionari e vedere Majakovskij mentre declama i suoi versi o conciona il pubblico, o recita con l´amata Lili Brik in alcuni fotogrammi tratti da Incatenata dal film. Un unico appunto: dispiace trovare nel catalogo (Silvana Editoriale, 128 pagg., 18 euro) assurdità traduttorie che trasformano, tra l´altro, L´arciere dall´occhio e mezzo in un improbabile Bersaglieri da un occhio e mezzo, ma soprattutto una traslitterazione dei nomi russi che urta con l´uso da tempo assestatosi in Italia.