Scritto da LEA MATTARELLA – la Repubblica

A Firenze, a Palazzo Strozzi tre grandi protagonisti del secolo scorso L´esposizione mette a confronto sessanta opere della produzione giovanile
Il Cahier numero 7 sulle “Demoiselles d´Avignon” .  Per la prima volta in Italia le 120 pagine di disegni preparatori del capolavoro picassiano: doveva chiamarsi “Il bordello” ritrae ragazze di vita catalane

Non ci sono dubbi che la capitale dell´arte, il luogo in cui si abbandonano gli stereotipi dell´Ottocento e si imbocca la strada della modernità sia Parigi. Ma, come emerge dalla mostra che si apre a Palazzo Strozzi, a Firenze, esiste una linea spagnola fondamentale per ricostruire la grande rivoluzione pittorica del XX secolo. La trinidad composta da Picasso, Miró e Dalí è la prova del ruolo imprescindibile avuto della Spagna nella formazione del nuovo linguaggio figurativo. Parigi è il centro catalizzatore di un pullulare di idee, sguardi incrociati, incontri al centro del quale c´è il grande genio del Novecento, Pablo Picasso che, sebbene i francesi si ostinino a chiamare Picassò, come fosse di loro proprietà, è nato a Malaga nel 1881. Ora è proprio lui, nel 1907, a dare una bella sterzata alla pittura dell´Occidente mettendo in cantiere le Demoiselles d´Avignon. E l´elaborazione di questo dipinto-manifesto esce oggi dalla Spagna per raggiungere Firenze. È esposto infatti integralmente per la prima volta il Cahier 7 che arriva dal Museo della casa natale di Picasso a Malaga. È qui, su questo quaderno – 120 pagine a righe un po´ ingiallite- che Picasso ha tracciato prima a matita e poi a inchiostro i volti e i gesti di quelle fanciulle, un po´ maschere primitive e un po´ rielaborazioni di figure classiche e di sculture iberiche, diventate icone della pittura del Novecento.
E chi le immagina francesi queste ragazze di Avignone si sbaglia di grosso. È a Parigi, dove viveva dal 1904, che Picasso le dipinge. Ma il Carrer de Avinyo era la strada delle prostitute di Barcellona, dove l´artista aveva vissuto prima del suo trasferimento in Francia. E infatti il quadro inizialmente doveva chiamarsi Il bordello, anche se poi André Salmon consapevole dell´importanza che questo dipinto avrebbe assunto nella storia del pensiero dell´immagine occidentale lo aveva soprannominato “il bordello filosofico”.
Il quaderno rivela il modo di lavorare di Picasso, quel suo prendere, afferrare immagini, suggestioni da qualsiasi parte gli arrivassero. Guardava l´arte dei musei, ma anche quella popolare “A me la pittura piace tutta –affermava – guardo sempre i quadri buoni o cattivi che siano, dal barbiere, nei negozi di mobili, negli alberghi di provincia. Sono come un bevitore che ha bisogno di vino. Purché sia vino non importa che vino”. Nel Cahier 7 si ha la prima apparizione di quell´arte extraeuropea che lo avrebbe sedotto per molto tempo, un´idea primordiale, primitiva che lo porta a inquadrare volti come maschere. Nello stesso tempo è ossessionato da uno stesso gesto, quello classico della figura distesa che tiene un braccio dietro la spalla e che, come rivela Eugenio Carmona in questa mostra, trova origine in una scultura di Antonio Canova, Il sogno di Endimione.
Quando arriva a Parigi, l´artista andaluso si innamora del mondo notturno di Toulouse Lautrec. In mostra c´è un´opera, bellissima, in cui si vede il suo modo di appropriarsene. Inquadra il mondo di Tolouse, quello del teatro, del cabaret, ma – sarà un caso? – la danzatrice che Picasso inquadra è spagnola.
La cosa certa, nel definire i rapporti tra questi tre geni spagnoli, è che sia Miró che Dalí, i due catalani, non appena mettono piede nella Ville lumière la prima cosa che fanno è recarsi da Picasso. Il primo lo raggiunge nel 1920, l´altro narra un incontro avvenuto nel 1926 che forse ha trasfigurato con la fantasia. Dice di averlo incontrato e di avergli portato un suo quadro, La ragazza di Figueiras, ancora una spagnola dunque. “Picasso lo studiò per un quarto d´ora, – racconta Dalí nella sua autobiografia – senza commenti. Poi mi condusse al piano superiore e per due ore mi mostrò una gran quantità di quadri, posandoli uno dopo l´altro su un cavalletto, dandosi enormemente da fare… ma anch´io non feci commenti. Sul pianerottolo, al momento del congedo, ci scambiammo semplicemente un´occhiata che significava: Hai capito? Ho capito!”. Probabilmente non andò esattamente così, il metodo paranoico-critico che il catalano applicava alla sua pittura, lo faceva fantasticare anche sui fatti della vita in cui realtà e surrealtà finivano per confondersi. Ma è bello immaginare i due spagnoli a Parigi che si riconoscono come coloro che stanno cambiando le sorti della pittura europea.