Scritto da LEA MATTARELLA – la Repubblica

IL GENIO DEL SEICENTO CONQUISTA LA RUSSIA
Una vita breve che gli basta però a cambiare per sempre le sorti della pittura Fino al 19 febbraio il Museo Pushkin ospita ben 11 dipinti dell´artista lombardo. Si tratta di una delle più grandi mostre all´estero dedicate a Merisi


Caravaggio va in trasferta. Una formazione composta da undici capolavori si gioca la sua partita sul campo del Museo Pushkin. È la prima volta che un gruppo così consistente di opere del grande maestro lombardo viene ammirato fuori dal nostro paese. Il termine “evento” che viene utilizzato un po´ troppo di frequente per quel che riguarda le mostre d´arte, questa volta va davvero scomodato. Intanto per i musei coinvolti: tra i più prestigiosi d´Italia. Da Milano alla Sicilia, da Brera a Capodimonte, dalla Pinacoteca Capitolina alla Galleria Borghese, dal Museo Regionale di Messina alla Galleria Palatina sono partiti i gioielli di questa campagna di Russia. Alla quale ha partecipato anche la Pinacoteca Vaticana che ha mandato un pezzo forte come la Deposizione. E, come se non bastasse, persino la Chiesa di Santa Maria del Popolo si è privata di uno dei due quadri che adornano la Cappella Cerasi. Infatti, è volata a Mosca anche la Conversione di San Paolo.
Così queste 11 tappe di un viaggio attraverso il genio e la sregolatezza caravaggeschi, riescono davvero a fare capire tutta la grandezza di uno degli artisti più amati di tutti i tempi. E anche la sua singolarità, la sua incredibile modernità. Si comincia con un´opera giovanile, il Ragazzo con canestra di frutta della Galleria Borghese e si termina con il Martirio di Sant´Orsola, un´opera dipinta nel 1610 poco prima della sua prematura, drammatica e continuamente presagita, fine. Non ha ancora 40 anni quando muore mentre cerca di ritornare a Roma, dopo aver passato gli ultimi quattro anni in fuga. Una vita breve che gli basta a cambiare le sorti della pittura, a rivoluzionarne per sempre il linguaggio su un palcoscenico di un umanissimo teatro tutto contrasti di luci e ombre, redenzioni e cadute, ricerca spasmodica di verità. Qui si passa dalla luminosità, dalla fresca composizione di uva, pere, fichi tenuta in mano da un giovane che sprizza vitalità del quadro Borghese datato tra il 1593 e il 1594, al buio in cui avviene la sfida tra l´arrendevolezza determinata di Sant´Orsola e la brutalità del re degli Unni suo carnefice. In mezzo c´è un ciclone.
Proprio davanti al Martirio di Sant´Orsola si capisce quanto in Caravaggio la pittura si intrecci con l´esistenza. In questo dipinto drammatico e teatrale si affaccia il volto del pittore, in una posizione tale che pare quasi sovrapporsi al corpo morente della martire. L´episodio raccontato diventa il pretesto per un´autobiografia. Con questo primo genio maledetto l´arte e la vita si scoprono necessarie l´una all´altra. L´artista usa il suo autoritratto anche nel Martirio di San Matteo, nella Cattura di Cristo, nella Sepoltura di Santa Lucia e nella Resurrezione di Lazzaro. E poi la sua faccia, devastata, compare nel Davide e Golia che doveva aprirgli la strada per tornare a Roma. Lui si raffigura come Golia. Ma sta elargendo la sua effigie. È un modo di chiedere perdono. Spedisce l´opera a Scipione Borghese e resta in attesa della grazia. Vuole far sapere al papa di essersi pentito. E lo fa nel modo che gli è più congeniale: teatralizzando su una tela la sua storia.
Nello Stato pontificio, in effetti, sulla sua testa pesava una condanna a morte. È questa la ragione che lo spinge a lasciare la città eterna in cui aveva ricevuto moltissimi onori, ma anche tanti “rifiuti”. Gli si rimproverava di non avere abbastanza “decoro”. Prendeva i suoi modelli dalla strada, raffigurava i poveri. Roberto Longhi per la Deposizione evocava un funerale di un capo zingaro. Ma Caravaggio non voleva certamente essere dissacrante. Racconta una storia sacra dalla parte dei poveri perché era vicino alle correnti della chiesa degli umili di Borromeo. Allo stesso modo interpreta la Conversione di San Paolo: un uomo investito dalla grazia rappresentata da un chiarore diffuso. Tutto il chiaroscuro di Caravaggio, il suo scontro di oscurità e di improvvise illuminazioni sono la rappresentazione fisica dell´eterna lotta tra le tenebre del peccato e la luminosità della fede in Dio. Che Caravaggio fosse ateo e miscredente è un luogo comune costruito intorno a un personaggio vissuto pericolosamente che nel corso dei secoli è diventato una leggenda. Non è invece un´invenzione il suo carattere impetuoso e ribelle. Il fatto che fosse un attaccabrighe, che girasse armato passando dai bordelli alle osterie è storia. In una di queste notti brave nel 1606, gli capita di uccidere un uomo durante una rissa seguita a una partita al gioco della pallacorda. Da qui la condanna capitale e la fuga. A Napoli lascia questa Flagellazione che pare ambientata tra i vicoli in cui Cristo sembra illuminato da un flash che lo stacca dal quel buio che invece avvolge i suoi torturatori. Un fondo scuro è anche nella Cena in Emmaus di Brera, dove, com´è emerso dagli ultimi restauri, Caravaggio cancella un´apertura, una finestra su una vegetazione, per fermare lo sguardo, come se non volesse distrarlo dal volto dolente e assorto di Cristo intento a benedire un misero tozzo di pane. La sua pittura si fa sempre più tragica mentre la sua corsa non si placa. Raggiunge Malta da cui deve scappare ancora, va a Messina a Palermo, di nuovo a Napoli. Dove passa succede che tutti lo guardino, lo imitino. Non ha mai avuto allievo eppure fa scuola. La sua pittura si diffonde come un virus in tutta Europa. Dopo di lui niente sarà più come prima.