Scritto da PAOLO CONTI – CORRIERE DELLA SERA

La Biennale indaga guerre e ambiente. Ma tre Tintoretto accoglieranno i visitatori

Venezia, 54 ª Biennale d’arte, annata 2011. Nulla di rassicurante sotto il cielo della laguna, nonostante il titolo scelto dalla curatrice Bice Curiger sia «ILLUMInazioni» . Nei Padiglioni nazionali, per esempio, c’è inevitabilmente la guerra, e certo non potrebbe mancare in un 2011 che gronda conflitti da ogni angolo del pianeta. Ma l’impatto visivo sarà forte: un carro armato, a grandezza naturale, rovesciato di fronte allo storico Padiglione degli Stati Uniti d’America, col suo raffinato frontale neoclassico che rinvia tanto al Pantheon di Roma quanto al Campidoglio di Washington. Una profezia di sconfitta, una denuncia di stanchezza per le imprese militari americane? Una cosa è certa: «Track and field» (ovvero «Atletica leggera» , questo il titolo dell’opera) si trasformerà proprio in una pista per i ragazzi della squadra di atletica leggera degli Stati Uniti con la sovrapposizione di tapis roulant sul cingolo destro: ci correranno sopra.

L’opera porta la firma di Jennifer Allora e Guillermo Calzadilla, artisti di origine portoricana ma scelti dalla curatrice del Padiglione statunitense, Lisa Freiman, che ha affidato alla stessa accoppiata anche una provocazione sul denaro (un immenso bancomat organo) e sulla competizione. Spiega Freiman: «I progetti sono interventi quasi surrealisti, che intendono catapultarci in una contestazione delle narrative ufficiali. Tali gesti assurdi e paradossali ci implorano di riflettere sul rapporto tra arte, guerra, nazionalismo e competizioni atletiche» .

Poi c’è la recente «rivoluzione nordafricana» . Il vento della protesta e del cambiamento giunge dal nuovo Egitto del dopo-Mubarak: il Padiglione ha confermato la scelta del videoartista Ahmed Basiouny, già selezionato a fine 2010 per la mostra veneziana, morto durante il «venerdì della collera» in piazza Tahrir a Il Cairo il 28 gennaio 2011, ucciso dai cecchini mentre riprendeva le proteste. Verrà installata la sua opera «30 Days of Running in the Place» , progetto digitale contenuto in una struttura quadrata racchiusa in teli di plastica trasparenti. Egiziano, rieccoci al mondo in fermento, è anche il presidente della giuria che assegnerà i premi, Hassan Khan, classe 1975, artista, musicista, scrittore. Infine, l’ambiente naturale al collasso.

Il francese Loris Gréaud, nel cuore della Mostra internazionale e non nel Padiglione del suo Paese, espone «The Geppetto pavillon» , una gigantesca balena spiaggiata (17 metri di lunghezza, 3 di altezza e 2 di larghezza) in resina, berglass e metallo. Un’apertura nel ventre permetterà un viaggio nel suo interno, tra Collodi, il Moby Dick di Melville e il biblico Giona. Per l’oggi, inevitabile il rinvio all’inquinamento marino che uccide decine di balene ogni anno. Le cifre della Biennale sono note da tempo: 89 Padiglioni nazionali (contro i 77 del 2009) inclusa Haiti nonostante la catastrofe. Invece 83 gli artisti invitati da Bice Curiger alla Mostra internazionale: tra questi 32 sono in età under 35 e sempre 32, coincidenza delle statistiche, sono donne.

Poi c’è il Padiglione Italia (3.400 metri quadrati dietro le Gaggiandre più altri 800 di giardino) curato da Vittorio Sgarbi: circa trecento artisti noti e meno noti designati ciascuno da un intellettuale, un imprenditore, un filosofo… Sgarbi è al lavoro e Paolo Baratta, presidente della Biennale, ne parla con entusiasmo e rispetto, smentendo la tradizionale fama del “Vittorio Furioso”: «Il Padiglione Italia si sta realizzando con sistematicità ed efficienza. La sua scelta di affidare ad altri la lista degli artisti ha quasi il sapore di un grande test sulla qualità del rapporto in Italia tra la società italiana e gli artisti» (ma Sgarbi fa sapere agli amici che il budget non gli consentirà di far arrivare a Venezia le opere dei «grandi nomi» . Come finirà?).

Comunque, Baratta è soddisfatissimo proprio per questo dialogo intenso tra Mostra internazionale, Padiglioni nazionali e Padiglione Italia: «La Biennale 2011 corona la scelta di muoversi su diversi binari. La dialettica darà vita a una grande mostra. I Padiglioni nazionali sono sufficientemente grandi per esporre proposte interessanti, ma abbastanza piccoli per evitare che le burocrazie politiche locali li trasformino in un palcoscenico delle loro personali vanità. Il collegamento tra arte e fenomeni sociopolitici mi sembra più evidente e fecondo del solito. Ennesima dimostrazione che la Biennale di Venezia non è un mercato, ma un luogo di cultura in cui si viene per assicurare un valore aggiunto, ma non certo economico, ricco di constatazioni sulla contemporaneità. Venezia come straordinaria piazza di scambio, certo, ma per idee e valori. Non per il denaro» .

I visitatori verranno accolti, all’ingresso della Mostra internazionale, da tre tele del Tintoretto: la sconvolgente «Ultima cena» , «Il trafugamento del corpo di san Marco» e «La creazione degli animali» . Spiega Baratta: «Lì c’è la luce, che rinvia al titolo della mostra. Soprattutto c’è un grande come Tintoretto che avverte: io ho evitato il pericolo del convenzionalismo e della ripetizione, ora tocca a voi…» . Partendo di lì, Baratta assicura che Bice Curiger più i Padiglioni nazionali (incluso quello italiano) formeranno «un reticolo per leggere i fenomeni della globalizzazione» . Ma c’è chi andrà controcorrente, come il performer veneziano Giorgio Andreotta Calò che propone il tema del pellegrinaggio: è partito a piedi da Amsterdam, dove vive, e nei prossimi giorni consegnerà una lettera per Bice Curiger, nel Giardino di Carlo Scarpa al Padiglione centrale. Proprio il suo lungo cammino sarà la sua partecipazione alla mostra.

Baratta ha un ultimo desiderio: «Cioè che nelle ore dell’inaugurazione la Cina comunichi qualcosa di positivo sulla sorte di Ai Weiwei» . Ovvero sul grande artista, autore dello stadio nazionale di Pechino per le Olimpiadi 2008, invitato alla Biennale 2011, arrestato il 2 aprile scorso e detenuto in una località segreta. Il suo posto, per ora vuoto, lo attende alla Biennale di Venezia 2011.