Scritto da FIAMMETTA CUCURNIA – Venerdì de la Repubblica

Il realismo socialista viene considerato un po’ kitsch, invece ha prodotto grandi talenti

Stanzija metro Majakovskaja (stazione Majakovskij). Una delle più vecchie e famose della metropolitana di Mosca. Dalla piazza, in cui si erge la statua del poeta rivoluzionario, si accede all’entrata. Senza pretese, di passaggio, perfino angusta. Poi però si imbocca la scala mobile che, ripida, porta giù, nel sottosuolo, a 34 metri di profondità. E lì, davanti agli occhi si apre uno spettacolo inatteso, incredibile. La sala, lunga 155 metri è spaziosa, leggera. Il pavimento di marmo lucido ricorda nei toni e nei colori i lavori di Malevic. Il soffitto è un cielo, tutto fatto di tasselli vetrati, come tanti fotogrammi di un film, che lo rendono arioso e vibrante, quasi vero. E magnifici mosaici, dietro i quali si nascondono le fonti di illuminazione, inseriti tra le doppie volte della stazione, raccontano una “giornata perfetta del Paese del socialismo”: le terre dei kholkhoz, le ciminiere della grande industrializzazione, le ore del lavoro, i divertimenti dei giovani… Uno spettacolo che ancora oggi colpisce per la sua modernità. Molti russi ricordano, o hanno sentito raccontare in casa, i primi mesi dopo l’inaugurazione, in quel terribile 1937 delle grandi purghe, quando la gente si accalcava senza sosta per potere ammirare, tra un treno e l’altro, l’opera forse più straordinaria e mirabile di Aleksandr Deineka (Kursk 1899 – Mosca 1969), il principale esponente del Realismo socialista, dell’arte monumentale degli anni Trenta e probabilmente dell’intero periodo staliniano.
A questo artista pieno di talenti, così caro alla Russia e così sconosciuto da noi, è dedicata dal prossimo 19 febbraio una mostra monografica al Palazzo delle Esposizioni di Roma. Organizzata in collaborazione con la Galleria Tret’jakov di Mosca, curata da Matthew Bown, e intitolata Aleksandr Deineka. Il maestro sovietico della modernità, inaugura l’anno della cultura Italia-Russia che, in autunno, si chiuderà con due altri appuntamenti speciali: il Realismo socialista e l’arte di Aleksandr Rodchenko. Un bel modo per recuperare un frammento così significativo del Novecento russo, che è stato in qualche modo “rimosso”, e spesso, nell’immaginario collettivo di noi europei, si ferma a Kandinskij, a Tatlin o a Lentulov.
Dice il curatore italiano, Matteo Lafranconi: “Questa iniziativa ha anche lo scopo di capire il perché di questa rimozione. C’è una visione della modernità che tende ad avere categorie polarizzare attorno al formalismo e all’avanguardia. La guerra fredda, poi, ha fatto il resto, anche in termini di mercato. Così del Realismo socialista si è parlato sempre meno. Invece si tratta di un movimento artistico che ha riguardato un tempo molto lungo e un Paese gigantesco e ha prodotto un numero straordinario di opere e di grandi talenti”. Noi ce lo siamo perso. E la mappatura di questo fenomeno nell’immaginario mondiale è tutta ancora da venire. “C’è una grande resistenza, di marca ideologica. La prova sta proprio nella elevatissima qualità delle opere. Ed è un vero peccato che le cose stiano ancora così, a distanza di tanti anni dopo la fine dell’Urss”.
Solitamente, questo movimento artistico viene archiviato come qualcosa di kitsch. “Se ne sorride e si passa oltre” dice Lafranconi “come se fosse qualcosa di antropologicamente buffo. Invece è solo un fenomeno diverso, che si basa su un procedimento molto interessante di selezione formale, e che spesso non coincide con le categorie del bello che noi riteniamo aggiornate”.
Questo atteggiamento riguarda un po’ tutta la produzione intellettuale dei tempi sovietici. Le nostre librerie non propongono più da anni autori non dissidenti di epoca sovietica, come Sholokhov o Trifonov. E non abbiamo mai visto sui nostri schermi i tanti e preziosissimi film di quel periodo. È un tessuto di conoscenze che è stato tagliato, un buco enorme intagliato nel corpo del secolo scorso. Ora Roma tenta di riallacciare quel filo.
Deineka, con la sua genialità, è forse il personaggio ideale per avviare questo recupero. Un artista completo. Veniva chiamato il pittore giornalista, per il suo fissare sulla tela, e anche con la grafica, e sui giornali, e poi con tutti i materiali più inconsueti a cui poté accedere, quello che vedeva intorno. Il suo essere totalmente “sovietico”, dunque affidabile per il potere, gli permise di viaggiare e di attingere alla fonte dell’arte mondiale. Rappresentò la Russia nel ’37 all’Esposizione Universale di Parigi, dove il suo immenso pannello Gente illustre del paese dei Soviet gli valse un riconoscimento pubblico e una Medaglia d’oro alla pittura. Nel 1939, All’Esposizione Internazionale di New York ottenne il Primo Premio. Paradossalmente, proprio il fatto di essere considerato un artista “di regime”, che faceva storcere il naso al mondo libero, ha permesso a Deineka di essere così moderno e anticonformista nel suo Realismo. In un Paese tutto proiettato verso il futuro, verso il sol dell’avvenire, diremmo noi, fermarsi a guardare la realtà, immortalare l’attimo fuggente nel suo dipanarsi era un gesto rivoluzionario, di vera modernità. E quest’accusa, in Patria, gli fu rivolta più volte. Oggi, guardando una dopo l’altra le sue opere, si ricostruisce un pezzo di storia, l’atmosfera di un tempo, il sapore di un’epoca. Nella Mostra saranno presentati veri tesori custoditi nella Tret’jakov, nel Museo Russo di San Pietroburgo, e nel Museo di Kursk, città natale di Deineka. Vedremo tutti i dipinti più belli, molti mosaici che “suggeriscono l’idea dell’arte monumentale sovietica e dell’unità delle espressioni artistiche che è il concetto tipico di quel periodo”. E poi ci sarà la simulazione di una delle due stazioni metropolitane firmate Deineka, la Majakovskaja e la Novokuznezkaja, in cui ognuno potrà sperimentare il senso di grandiosità e di libertà creato dall’incastro perfetto di mille talenti: architetti, ingegneri, mastri vetrai, pittori…