23Sett2013

Scritto da Wanda Lattes, Corriere della Sera

La bellezza nonostante il fascismo Stili e tendenze contrastanti di un decennio che sconvolse l’arte

È una proposta ambiziosa quella della mostra che Firenze ospita da ieri a Palazzo Strozzi. Il titolo stesso, «Anni Trenta. Arti in Italia oltre il fascismo», si sforza di dimostrare che il periodo demagogico e colorito che precedette in Italia il decennio sanguinoso degli Anni Quaranta, dei bombardamenti, degli arresti, delle deportazioni, fosse anche un ambiente adatto alle arti e alla poesia. In realtà la selva di opere e di nomi portati a simbolo degli anni Trenta conserva il suo valore di contraddizione. Nel «sacro alloro che verdeggiava — secondo gli inni — sul Campidoglio della Roma divina» germogliarono inarrestabili i talenti che nulla avevano a che fare con l’ideologia fascista. Le opere, i personaggi portati alla ribalta sono di per sé la dimostrazione di un «non fascismo» dei protagonisti del decennio. Abbiamo a Milano Sironi, Martini, Carrà, a Torino un Casorati, a Roma Carena, Scipione, Mafai, Cagli, Gentilizi, a Firenze, tanto per dire, Soffici, Rosai, Lega e Viani, mentre nel settore della riproduzione industriale degli oggetti vediamo nascere il design vero e proprio grazie alla genialità di personaggi come Gio Ponti. Particolarmente audace il nucleo dedicato alle riviste culturali di Firenze capace di illustrare sguardi incrociati tra poesia, pittura, musica.
I personaggi di tutto rispetto qui citati forse non vestirono mai l’orbace, i neri indumenti che tanto piacevano al Duce e al suo Starace, ma di sicuro sarebbe difficile ancora oggi legare nomi, genialità, creazioni importanti di gente come Carlo Levi, che poi andò a patire nel confino di Eboli o di un Cagli, costretto come ebreo perseguitato alla fuga in America, a una propensione per il fascismo imperante. Il carattere sovranazionale dell’arte negli anni Trenta, dicono opportunamente gli organizzatori, si coglie comunque in modo più diretto nell’avanguardia futurista e astrattista e nelle opere dei più giovani e nella selezione di quelle nate a Roma o Milano.
Novantasei i dipinti, 17 le sculture, 20 gli oggetti di design esposti in varie sezioni. Si va dunque dai centri artistici con le opere esposte alle Biennali di Venezia e alle Quadriennali di Roma alle stanze dedicate ai giovani con le loro forme anti-accademiche. E poi il tema del viaggio con il gusto europeo degli artisti che avevano Berlino e Parigi come punto di riferimento, quello dell’arte pubblica con i bozzetti e i disegni preparatori delle costruzioni monumentali, spesso retoriche. E ancora il contrasto tra avanguardie e tradizione dopo l’etichetta di «arte degenerata» data alla prima corrente dai nazisti saliti al potere. Infine la sezione del design con una carrellata di oggetti e di immagini di interni tratte da fotografie e film d’epoca e un’ultima dedicata incentrata su Firenze in un incrocio di pittura, poesia, musica.
I curatori (Antonello Negri con Silvia Bignami, Paolo Rusconi, Giorgio Zanchetti e Susanna Ragionieri) tengono dunque a riconoscere esplicitamente come negli anni Trenta fu combattuta una serie di battaglie artistiche nelle quali erano schierati stili e tendenze, dal classicismo al futurismo, dall’espressionismo all’astrattismo, dall’arte monumentale alla pittura e alla oggettistica da salotto. La scena delle esperienze era complicata dalle comunicazioni di massa e dal design, manifesti, radio, cinema che in mostra sono ampiamente rappresentate.Se l’idea di arte come comunicazione di massa si concentra sull’arte pubblica-muralismo,manifesti la mostra offre confronti con le coeve situazioni europee,quali quelle di Berlino o di Parigi.
Quello degli anni Trenta,ribattono dunque gli ordinatori a scanso di confusioni,è Un decennio cruciale, iniziato con il clima di consenso al regime fascista che subirà dal 1938 la drammatica accelerazione delle leggi razziali per precipitare infine nella catastrofe dell’alleanza bellicosa con la Germania nazista. In questo scenario per gli artisti diventava sempre piu difficile «non schierarsi» come dimostra, ad esempio, il contrasto tra l’allineato Premio Cremona e un premio «fuori dalle righe» come il Bergamo.
Non si può fare a meno di ricordare come un approccio di alto valore critico all’analisi delle tendenze, delle fisionomie degli artisti costretti a misurarsi con un’epoca molto insidiosa fu quello del grande studioso Carlo Ludovico Ragghianti con la sua importantissima mostra degli anni Sessanta, sempre a Palazzo Strozzi (2108 opere), sull’Arte Moderna in Italia.
Wanda Lattes